Il rosicruciano medioevale studiava i processi naturali che egli considerava processi terreni della natura: in essi distingueva tre diversi processi che riconosceva come i tre grandi processi della natura.
Il primo importante processo da citare è la salificazione: tutto quel che in natura precipita allo stato solido da una soluzione, veniva chiamato dal rosicruciano medioevale col nome di sale. Ma quando egli osservava una salificazione, la sua rappresentazione era del tutto diversa da quella dell’uomo d’oggi: se infatti voleva avere la sensazione di aver compreso quel processo, la vista del processo stesso doveva agire su di lui come una preghiera. Perciò il rosicruciano medioevale cercava di chiarire a se stesso che cosa doveva avvenire nella sua anima affinché anche in questa riuscisse la salificazione.
Egli pensava: la natura umana distrugge continuamente se stessa attraverso gli istinti e le passioni; la nostra vita sarebbe una continua decomposizione, un processo di putrefazione, se ci abbandonassimo solo alle brame e alle passioni. Se l’uomo vuole realmente difendersi dalla putrefazione, deve dedicarsi di continuo a pensieri puri rivolti verso lo spirito, deve curare l’evoluzione superiore dei suoi pensieri. Il rosicruciano medioevale sapeva che se non combatteva le sue passioni in un’incarnazione, sarebbe rinato nella prossima con disposizioni alla malattia, mentre vi avrebbe avuto disposizioni sane se in questa incarnazione avesse purificato le sue passioni. Il processo di superamento mediante la spiritualità delle forze conducenti alla putrefazione era detto la salificazione microcosmica.
Così possiamo comprendere come un tale processo naturale potesse divenire la preghiera più devota per il rosicruciano medioevale; di fronte alla formazione del sale egli si diceva con sentimento di purissima devozione: in questo pro cesso forze divino-spirituali hanno operato da migliaia d’anni, e allo stesso modo operano in me i pensieri puri. Dietro la maya della natura io adoro i pensieri degli dèi, delle entità divino-spirituali; di questo era consapevole il rosicruciano medioevale che diceva: se mi faccio stimolare dalla natura a nutrire tali sentimenti, mi rendo simile al macrocosmo, men tre se considero solo esteriormente questo processo mi separo da Dio, rinnego il macrocosmo. Tali erano i sentimenti del teosofo medioevale, ovvero del rosicruciano.
Una seconda esperienza era il processo della soluzione, un altro processo naturale che poteva condurre anch’esso alla preghiera il rosicruciano medioevale: egli chiamava mercurio tutto quel che poteva sciogliere un’altra sostanza. Per lui sorgeva ora il quesito: quale sarà nell’anima umana la qualità corrispondente? Quale qualità dell’anima opera, come nella natura opera il mercurio? Il rosicruciano medioevale sapeva che ciò che nell’anima corrisponde al mercurio significa tutte le forme dell’amore dell’anima; egli distingueva processi inferiori e processi superiori di soluzione, come vi sono forme inferiori e forme superiori di amore. Così la visione di processi di soluzione diveniva una pia preghiera che gli faceva dire: l’amore di Dio agì per millenni nella natura, come nella mia interiorità opera l’amore.
Il terzo processo naturale importante per i teosofi medioevali era la combustione, il processo che ha luogo quando una sostanza si consuma nelle fiamme: e di nuovo il rosi cruciano medioevale ricercava il processo interiore che corrispondeva alla combustione, e lo vedeva nella fervida dedizione alla divinità. Egli chiamava zolfo tutto ciò che può consumarsi nelle fiamme. Negli stadi di sviluppo della Terra egli vedeva il processo di una graduale purificazione, simile a una combustione o solforizzazione, e come sapeva che un giorno la Terra sarà purificata attraverso il fuoco, così vedeva nella fervida dedizione alla divinità anche un processo di combustione.
Nei processi terreni egli vedeva il lavoro degli dèi che alzano lo sguardo verso dèi ancora superiori. Pervaso così da grande devozione e da sentimenti profondamente religiosi, nel contemplare il processo della combustione egli si diceva: adesso alcuni dèi celebrano il sacrificio verso gli dèi superiori. Quando poi il rosicruciano medioevale produceva egli stesso la combustione nel suo laboratorio, sentiva di fare quello che gli dèi fanno, quando si sacrificano a dèi a loro superiori. Egli si sentiva degno di procedere a una tale combustione nel suo laboratorio, quando si sentiva pervaso da un tale sentimento sacrificale, quando sentiva in se stesso il desiderio di offrirsi in sacrificio agli dèi. La potenza delle fiamme lo riempiva di grandi sentimenti religiosi, che lo portavano a dire: quando vedo la fiamma là nel macrocosmo, vedo i pensieri, l’amore e il sentimento sacrificale degli dèi.
Il rosicruciano medioevale intraprendeva egli stesso questi esperimenti nel suo laboratorio, e si dava alla contemplazione di queste formazioni di sali, di soluzioni e di combustioni; di fronte ad esse egli si abbandonava sempre a sentimenti profondamente religiosi e si sentiva collegato con tutte le forze del macrocosmo. Tali processi animici originavano in lui in primo luogo pensieri divini, in secondo luogo amore divino e in terzo luogo olocausti divini. Allora il rosicruciano medioevale scopriva che:
quando produceva una salificazione, salivano in lui pensieri purificatori;
di fronte a un processo di soluzione si sentiva stimolato all’amore, si sentiva permeato di amore divino;
nel processo di combustione si sentiva acceso verso la celebrazione del sacrificio, si sentiva spinto a sacrificarsi sull’altare del mondo.
Questo provava lo sperimentatore. E se si fosse assistito chiaroveggentemente a un tale esperimento, si sarebbe percepito un mutamento nell’aura dello sperimentatore: mentre prima dell’esperimento l’aura si presentava con colori misti, perché probabilmente era piena di brame e di istinti ai quali 10 sperimentatore si era abbandonato, diveniva monocolore attraverso l’esperimento. Nel primo caso, per l’esperimento della salificazione, diveniva color rame (puri pensieri divini), poi, per l’esperimento della soluzione, diveniva argentea (amore divino), infine, per la combustione, diveniva aurea splendente (amore sacrificale divino o servizio sacrificale di vino); gli alchimisti dicevano allora di aver ricavato dall’aura 11rame soggettivo, l’argento soggettivo e l’oro soggettivo.
La conseguenza di tutto questo era che chi aveva provato una tal cosa, chi aveva realmente vissuto interiormente un tale esperimento, era tutto pervaso di amore divino. Dunque ne risultava un uomo compenetrato di purezza, di amore e di spirito di sacrificio; fu mediante tale servizio sacrificale che il teosofo medioevale preparò una certa chiaroveggenza. Così egli potè introdursi a vedere il modo in cui le entità spiri tuali fanno nascere e morire le cose dietro il velo della maya, comprese anche quali forze d’impegno dell’anima ci aiutano e quali no, imparò a riconoscere le nostre energie di nascita e di morte. Il teosofo medioevale Heinrich Khunrath,* in un momento di illuminazione, chiamò questo processo la legge di nascita e di morte.
Al teosofo medioevale divenne chiara dall’osservazione della natura la legge dello sviluppo ascendente e discendente; egli espresse in certi segni, in certe figure immaginative, la scienza che da essa gli derivò; era quindi una forma di conoscenza immaginativa.
Così operavano i migliori alchimisti dal quattordicesimo al diciottesimo secolo e fino agli inizi del diciannovesimo. Su questa attività realmente morale, etica e intellettuale nulla fu stampato, poiché quello che fu pubblicato sull’alchimia tratta solo di esperimenti esteriori descritti da coloro che coltivavano l’alchimia come fine a se stessa, falsi alchimisti che miravano solo alla formazione di materia, che vedevano negli esperimenti di combustione della materia solo l’ottenimento di risultati materiali. Invece il vero alchimista non attribuiva alcun valore alla materia che otteneva alla fine dell’esperimento; gli importavano solo le esperienze animiche interiori che faceva durante la formazione della materia, i pensieri che sorgevano in lui, le esperienze che aveva in sé. Vigeva una legge severa, secondo la quale il teosofo medioevale che produceva oro e argento negli esperimenti, non poteva trarne alcun guadagno per sé, poteva solo dare in regalo i metalli prodotti. L’uomo d’oggi non ha più un’idea esatta di quegli esperimenti, non ha il minimo barlume di quello che lo sperimentatore poteva provare. Il teosofo medioevale poteva vivere interi drammi animici nel suo laboratorio; quando ad esempio venne ottenuto l’antimonio, gli sperimentatori scorsero un importantissimo elemento morale in quei processi.
Se non fossero allora avvenute quelle cose, non potremmo oggi coltivare in senso scientifico-spirituale il rosicrucianesimo. L’esperienza del rosicruciano medioevale di fronte a processi naturali è una santa scienza naturale. La sua esperienza di principi sacrificali, di grandi gioie, di grandi processi naturali, anche di dolore e di tristezza, di esperienze innalzanti e rallegranti durante gli esperimenti che conduceva, operava su di lui in senso redentore e liberatorio. Tutto ciò riposa adesso negli intimi sostrati dell’uomo, vi riposa tutto quanto vi venne allora deposto.
Come ritroviamo ora le forze nascoste che allora conducevano alla chiaroveggenza? Le ritroviamo in quanto studiamo la scienza dello spirito e ci dedichiamo interamente alla vita interiore dell’anima attraverso una seria meditazione e concentrazione. Nel corso di tale sviluppo interiore, occuparsi della natura a poco a poco ritorna ad essere un servizio sacrificale. A tal fine gli uomini devono passare attraverso quella che oggi chiamiamo la scienza dello spirito. Migliaia di uomini devono dedicarsi alla scienza dello spirito, devono condurre una vita interiore, affinché in futuro si possa di nuovo percepire la verità spirituale dietro alla natura, affinché si impari a comprendere lo spirito dietro il velo della maya.
Cosi si formerà una schiera, anche se esigua all’inizio, che potrà sperimentare l’evento di Paolo sulla via di Damasco, e percepire il Cristo eterico che viene soprasensibilmente tra gli uomini. Ma prima l’uomo deve arrivare alla visione spirituale della natura: chi ignora tutto il senso interiore del lavoro dei rosacroce può credere che l’umanità sia ancora sullo stesso gradino sul quale si trovava duemila anni fa.
Finché non sarà stato percorso il processo che è possibile solo mediante la scienza dello spirito, l’uomo non giungerà alla visione spirituale.
Rudolf Steiner O.O. 130 - Il Cristianesimo Rosicruciano
Neuchatel, 28 Settembre 1911
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