Lo Spirito Santo è stato effuso affinché il messaggio del Cristo potesse comunicare cose sempre nuove - Pasqua festa mobile, perchè?
- Pleroma
- 20 apr
- Tempo di lettura: 12 min
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"Il Vangelo di Giovanni - La Parola del Discepolo che Lui amava"
Nei tempi antichi, che hanno preceduto la predicazione cristiana, il senso di quella che possiamo chiamare «umanità in generale», il senso di appartenenza comune che sempre più è presente nei cuori degli uomini dall'inizio della predicazione cristiana, ci diceva: «Tu sei uomo insieme con tutti gli uomini della Terra!». Tuttavia, era molto più diffuso il senso dell'appartenenza di ogni singolo uomo a un singolo popolo o a una singola stirpe.

Ritroviamo questo modo di sentire anche nella nobile religione dell'India antica, dove si esprime nella credenza che possa essere un vero indiano solo chi sia tale per consanguineità. Lo stesso principio era ampiamente condiviso dagli appartenenti all'antico popolo ebraico, anche se, più volte, è stato trasgredito, prima dell'avvento di Cristo Gesù. Secondo la loro concezione, un individuo era membro del suo popolo solo se vi era stato immesso da genitori entrambi appartenenti a quel popolo, ossia consanguinei. C'era però anche un altro senso.
È vero che presso tutti i popoli, anticamente, chiunque si sentiva in maggiore o minor misura membro di una stirpe, parte del popolo. Anzi, quanto più risaliamo indietro nel tempo, fino a un passato lontanissimo, tanto più intenso si presenta questo sentimento di non essere affatto un'individualità isolata, ma il membro di un popolo. Tuttavia, col tempo, si è imparato a sentirsi anche individui, singole individualità umane dotate di facoltà individuali. Questi due principi agivano in qualche modo nell'umanità, nella sua dimensione esteriore: l'appartenenza al popolo e l'individualizzazione propria del singolo uomo.
Ora, le forze inerenti a questi due principi venivano ascritte all'uno o all'altro dei genitori. Il principio per cui si apparteneva innanzitutto al proprio popolo, per cui si era innanzitutto membri di una comunità, era considerato di origine materna. Secondo il modo di sentire corrispondente a queste antiche concezioni, della madre si diceva che predominasse in lei lo spirito del popolo. La madre era ricolma dello spirito del popolo e trasmetteva al figlio l'universale principio umano di appartenenza al popolo. E del padre si diceva che era portatore e tramite del principio che conferiva all'uomo, in particolare, le qualità individuali. Quando, perciò, un uomo, attraverso la nascita, entrava a far parte della comunità, si poteva dire, anche secondo l'antico popolo ebraico della diaspora, che egli fosse una personalità, una individualità, grazie alle forze del padre. La madre, invece, era ricolma, in tutto il proprio essere, dello spirito agente nel popolo, e questo spirito trasmetteva al figlio. Della madre si diceva dunque che in lei dimorasse lo spirito del popolo. E, corrispondentemente, si diceva che lo spirito inviasse le sue forze dall'alto, attraverso le madri, al mondo fisico, facendo affluire le sue energie nell’umanità.

Tuttavia, a seguito dell'impulso del Cristo, si sviluppò una nuova concezione secondo cui, allo spirito del quale si parlava in passato, allo spirito del popolo, sarebbe subentrato uno spirito che, pur essendo affine a esso, sarebbe stato di gran lunga superiore, uno spirito che avrebbe significato per l'umanità intera ciò che lo spirito antico significava per i singoli popoli. Era questo spirito che sarebbe stato comunicato all'umanità e che l'avrebbe colmata della forza interiore per cui si sarebbe detto:
«Sento di appartenere non più soltanto a una parte dell'umanità, ma all'umanità intera; sono un membro dell'umanità intera, e lo diventerò sempre più!»
Questa forza, capace di diffondere in tutta l'umanità l'elemento universalmente umano, venne attribuita allo Spirito Santo. Così, lo spirito che si manifestava nella forza fluente dallo spirito del popolo alle madri si innalzò, da spirito, a Spirito Santo.
Colui che avrebbe dovuto infondere agli uomini la forza necessaria per sviluppare sempre di più, nell'esistenza terrena, l'elemento universalmente umano, non poteva che dimorare, lui per primo, in un corpo ricevuto per la forza dello Spirito Santo. Questo era il senso dell'annuncio ricevuto dalla madre di Gesù. E il Vangelo secondo Matteo ci informa che Giuseppe, di cui si diceva che era un uomo pio, ossia, secondo l'uso antico del termine, un uomo fermamente convinto che il figlio che avrebbe avuto sarebbe nato dallo spirito del suo popolo, Ci viene dunque riferito che Giuseppe rimase sgomento quando seppe che la madre del suo figliolo era impregnata, o meglio, per usare il termine esatto nel nostro linguaggio, era «compenetrata» dalla forza di uno spirito che non era solo spirito del popolo, ma era lo spirito dell'umanità universale! Giuseppe non credeva di poter avere comunione con una donna che gli avrebbe partorito un figlio che avrebbe portato in sé lo spirito dell'umanità intera, anziché quello spirito al quale, nella sua pietà, egli era devoto. Si propone allora, come sta scritto, «di lasciarla in segreto». Solo dopo aver ricevuto anch'egli dai mondi spirituali una comunicazione che gli conferisce la forza necessaria, può risolversi ad accettare un figlio da quella donna, che è stata colmata e permeata dalla forza dello Spirito Santo.

Questo spirito è dunque all'opera quando, con la nascita di Gesù di Nazareth, fa affluire le proprie forze nell'evoluzione dell'umanità. È ancora all'opera in quell'atto grandioso che si compie con il battesimo amministrato da Giovanni nel Giordano. Adesso comprendiamo in che consiste la forza dello Spirito Santo: è la forza che eleva sempre più l'uomo al di sopra di tutto ciò che lo differenzia e lo isola, conducendolo a diventare un membro dell'umanità intera diffusa su tutta la Terra, un vincolo animico fra un'anima e l'altra, del tutto indipendentemente dal corpo in cui ognuna dimorerà.
Ciò che ci viene detto, però, è che nella festa di Pentecoste lo Spirito Santo si riversa, attraverso un'altra manifestazione, nelle individualità di coloro che per primi avevano compreso il cristianesimo. Nel battesimo di Gesù, lo Spirito Santo ci è apparso sotto forma di colomba.
Ora, però, compare un'immagine diversa: l'immagine delle lingue di fuoco. Una sola colomba, quella in cui lo Spirito Santo si manifesta al battesimo; nella festa della Pentecoste, si manifesta in una molteplicità di lingue di fuoco! Ogni lingua di fuoco è ispiratrice delle individualità di ogni primo seguace del Cristianesimo. Che cosa ci dice dunque questo simbolo pentecostale?
Soltanto dopo che il portatore dello Spirito universale umano ha agito sulla Terra, dopo che il Cristo ha dissolto i suoi ultimi involucri nell'universo e dopo che la natura unitaria degli involucri del Cristo si è trasmessa quale unità all'esistenza spirituale della Terra, dai cuori di coloro che hanno compreso l'impulso del Cristo può scaturire la capacità di parlare di questo impulso e di agire secondo esso. Con l'Ascensione, l'impulso del Cristo, che si era manifestato negli involucri esteriori, si immerge nel mondo spirituale unitario e riemerge dieci giorni dopo dai cuori delle singole individualità, dai cuori di coloro che per primi hanno compreso questo impulso. E grazie al fatto che lo stesso spirito che aveva agito nella forza dell'impulso del Cristo è ricomparso in forma molteplice, i primi seguaci del cristianesimo sono divenuti i portatori e gli annunciatori di questo impulso.
Sono diventati i portatori e gli annunciatori del messaggio del Cristo, ponendo con ciò all'inizio dell'evoluzione del cristianesimo quel simbolo potente che ci dice:
«Così come i primi discepoli hanno accolto l'impulso del Cristo, ciascuno di essi, in forma di lingue di fuoco ispiratrici delle loro anime, così voi tutti, se vi sforzate di comprendere l'impulso del Cristo, potrete individualizzarne le forze, potrete accoglierlo nei vostri cuori e accogliere forze che vi faranno agire sempre più compiutamente secondo questo impulso»

Questo simbolo, posto allora all'inizio del cristianesimo, può far nascere in noi una grande speranza. Man mano che l'uomo si perfeziona, percepisce che lo Spirito Santo parla dalla sua interiorità, nella misura in cui il suo pensiero, il suo sentimento e la sua volontà di uomo sono permeati da questo Spirito Santo, che nel proprio dividersi, nel proprio manifestarsi in molteplici forme, è altresì spirito individuale in ogni singola individualità umana. Perciò, per noi uomini, lo Spirito Santo è lo spirito di un'evoluzione verso l'uomo libero, verso l'anima umana libera. Lo spirito della libertà è all'opera in quello spirito che si è effuso sui primi seguaci del cristianesimo nella prima Pentecoste cristiana, lo spirito del quale lo stesso Cristo Gesù ha indicato la proprietà essenziale dicendo:
«Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi»
Solo nello spirito l'uomo può diventare libero. Finché dipende dalla corporeità nella quale il suo spirito dimora, rimane schiavo di questa corporeità. L'uomo può diventare libero solo in quanto si ritrova nello spirito e, partendo da esso, diventa padrone di ciò che è in lui. Per poter "diventare liberi" è necessario ritrovarsi in se stessi come spirito. Il vero spirito, in cui possiamo ritrovarci, è lo spirito umano universale, in cui riconosciamo la forza dello Spirito Santo che, con la Pentecoste, ci pervade e che dobbiamo generare in noi stessi, facendo sì che si manifesti. Per noi, quindi, il simbolo pentecostale si trasforma nel nostro più grande ideale, quello della libera evoluzione dell'anima umana verso una individualità completamente libera.
Questo, più o meno oscuramente, lo sentivano anche coloro che hanno contribuito, senza esserne affatto consapevoli, ma sulla base di un'ispirazione, alla istituzione della festa di Pentecoste in un determinato giorno dell'anno. Il calcolo delle date festive ha infatti un senso incredibilmente profondo e chi non riesce a percepire la saggezza che anche in questo calcolo è operante non riesce a cogliere gran parte della realtà del mondo. Consideriamo le feste del Natale, della Pasqua e della Pentecoste.
Il Natale, come festa cristiana, cade in un giorno preciso dell'anno. Il giorno esatto è sempre lo stesso, il 25 dicembre. Lo celebriamo ogni anno nella stessa data. Per la Pasqua è diverso. La Pasqua è una festa mobile, la cui data viene fissata in base alla posizione degli astri nel cielo: è Pasqua se il plenilunio che segue l'equinozio di primavera è stato osservato e la prima domenica dopo di esso è stata individuata. Per calcolare la data della Pasqua, l'uomo deve rivolgere lo sguardo alle vastità del cielo, dove gli astri percorrono la loro orbita e da dove ci vengono annunciate le leggi del cosmo. Anche la Pasqua è una festa mobile, come lo è il momento in cui, in un individuo, si desta la forza del "uomo superiore" dotato di una superiore consapevolezza, la forza che può aiutare l'individuo a liberarsi dalla sua umanità ordinaria. Così come la Pasqua, a seconda degli anni, può cadere in un giorno o in un altro, anche nel singolo individuo, a seconda del suo passato e della forza del suo impegno, può cadere prima o dopo il momento in cui egli acquista questa consapevolezza: posso trovare in me la forza per far sì che da me nasca un uomo superiore!

Il Natale, invece, è una festa fissa. È la festa di quando, terminato il corso dell'anno, per l'uomo il fiorire e lo sfiorire della natura, tutte le gioie legate allo scaturire e al fluire delle forze naturali, sono cose del passato. L'uomo allora vede resistenza terrestre nello stato di sonno, in cui essa custodisce sepolta dentro di sé la forza dei nuovi germi; la natura esteriore si è ritirata, insieme con tutte le forze germinative che vi risiedono. Proprio quando il mondo sensibile, il mondo esteriore, manifesta al minimo queste forze germinative, quando la Terra stessa mostra come a un certo punto le forze spirituali si ritirino per raccogliersi in vista dell'annata seguente, quando la natura esteriore è più che mai in silenzio, proprio allora, durante la festa del Natale, l'uomo deve pensare che esiste una speranza: non solo è legato alle forze della Terra che adesso, nel tempo del Natale, sono in silenzio, ma è anche legato a forze che non dimorano soltanto sulla Terra, ma anche nei regni spirituali. Tale è la speranza che deve nascere nell'anima quando si rende conto che la Terra, per così dire, si addormenta. Questa speranza deve nascere dal più profondo dell'anima e nello spirito deve esserci luce, mentre la natura fisica esteriore è avvolta da un'oscurità più fitta.
Dalla simbologia del Natale, l'uomo è chiamato a ricordare, innanzitutto, che le sue forze interiori sono legate al proprio corpo terrestre, esattamente come le manifestazioni della natura intorno a lui sono legate al ciclo annuale della Terra. La festa del Natale è fissata nello stesso momento in cui, ogni anno, la Terra si addormenta: in quel momento l'uomo deve dunque rammentarsi che è legato a un corpo, ma anche che non è condannato a questo legame, bensì può far nascere in sé la speranza di trovare la forza necessaria per divenire, dentro di sé, un'anima libera. Il significato del Natale risiede dunque in questo richiamo a rammentarci del nostro legame con il corpo e, insieme, della nostra aspirazione a liberarci da esso.
Tuttavia, dipende dal nostro impegno la maggiore o minore tempestività con cui riusciremo a sviluppare le forze in cui riponiamo la nostra speranza e dalle quali saremo ricondotti verso il mondo spirituale, verso i cieli. Questo deve ricordarcelo la simbologia della Pasqua.

La festa della Pasqua ci deve ricordare che non disponiamo solamente delle forze che ci vengono dal nostro corpo, e che pure sono anch'esse forze divino-spirituali; ci deve ricordare che, in quanto uomini, possiamo innalzarci al di sopra della Terra. La Pasqua, dunque, è la festa che ci rammenta quella forza che dovrà presto o tardi destarsi dentro di noi. È una festa mobile, la cui data è legata alla posizione degli astri. L'uomo deve giungere a ricordare ciò che può essere alzando lo sguardo al cielo, per vedere come gli sia possibile affrancarsi dall'esistenza terrestre ed elevarsi al di sopra di essa.
È dalla forza che avremo a disposizione che dipenderà la nostra libertà interiore, la nostra liberazione interiore. Quando sentiremo dentro di noi che possiamo elevarci al di sopra di noi stessi, allora ci sforzeremo di realizzare questa possibilità. Allora vorremo rendere libero il nostro uomo interiore, vorremo reciderne in qualche modo il legame con l'uomo esteriore. Cercheremo di rimanere ancorati al nostro uomo esteriore, ma diventeremo pienamente consapevoli della profonda forza spirituale dell'uomo interiore. E sarà in quel momento, quando ci saremo resi conto di poter essere liberi, che si aprirà per noi la porta della Pasqua interiore, che ci condurrà alla Pentecoste, quando riempiremo il nostro spirito di un contenuto che non proviene da questo mondo, ma proviene dai mondi spirituali. Solo questo contenuto proveniente dai mondi spirituali può renderci liberi. Esso è la verità spirituale della quale il Cristo dice:
«Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi»
Perciò la festa della Pentecoste dipende dalla Pasqua. È una conseguenza della Pasqua: la festa della Pasqua è fissata in base alla posizione degli astri, la Pentecoste deve seguire a essa dopo un determinato numero di settimane, quasi come un suo necessario effetto.
Riflettendoci a fondo, vediamo così la saggezza che opera fin nella determinazione delle date di queste feste. Notiamo che queste feste sono collocate nel corso dell'anno secondo un ordine preciso e necessario e che ci mostrano, di anno in anno, ciò che siamo come uomini, ciò che siamo e che possiamo diventare. Se le concepiamo in questo modo, esse diventano per noi, in quanto feste che ci collegano con il passato, qualcosa che è stato impresso nell'umanità come impulso perché possiamo procedere oltre.

La Pentecoste, in particolare, ci infonde fiducia, forza e speranza, se comprendiamo come potremo diventare, nell'anima, come i primi che hanno compreso l'impulso di Cristo e che per questo si sono resi degni di ricevere le lingue di fuoco. La Pentecoste si presenta anche come festa dell'avvenire. Per riuscirci, dobbiamo imparare a comprenderla in senso veramente cristiano. Dobbiamo imparare a comprendere cosa intendessero, in primo luogo, quelle potenti lingue di fuoco, quelle potenti ispirazioni pentecostali. Quali accenti risuonavano potenti dal «fragore» che si era prodotto, stando a quell'immagine che viene prospettata alle nostre anime come immagine pentecostale della prima Pentecoste cristiana? Che voci erano quelle che, in una meravigliosa armonia, nell'armonia delle sfere, dicevano:
«Avete avvertito la forza dell'impulso del Cristo, voi, i primi a comprenderlo! La forza del Cristo, in ciascuno di voi, si è trasformata a tal punto in una forza dello spirito, che l'anima di ciascuno è divenuta capace di vedere il Cristo, di vederlo presente, dopo l'evento della croce. Con tale potenza l'impulso del Cristo ha agito su ciascuno di voi!»
L'impulso del Cristo è però un impulso di libertà. I suoi effetti, nel senso più autentico della parola, non si manifestano quando esso agisce al di fuori dell'anima umana. Gli effetti autentici dell'impulso del Cristo si manifestano solo quando esso si manifesta nell'anima umana. Coloro che per primi avevano compreso il Cristo, in occasione dell'evento di Pentecoste, furono chiamati ad annunciare ciò che era nelle loro anime, ovvero ciò che, attraverso rivelazioni e ispirazioni, avevano ricevuto dalle loro anime come insegnamento del Cristo. A costoro il Cristo dava la forza di suscitare nelle proprie anime la parola che avrebbero annunciato come messaggio cristiano. Divenendo consapevoli che l'impulso del Cristo aveva agito in loro durante la sacra preparazione prima della Pentecoste, essi si sentirono chiamati, dalla forza di tale impulso, a far parlare in loro le lingue di fuoco, lo Spirito Santo individualizzato, e a mettersi in cammino per annunciare il messaggio del Cristo.
Coloro che avevano compreso in questo modo il senso dell'evento di Pentecoste non soltanto riconoscevano come tali le parole del Cristo, quelle che il Cristo aveva pronunciato, ma giunsero a riconoscere come parole del Cristo anche ciò che scaturisce dalla forza di un'anima alla quale sia dato sentire l'impulso del Cristo. Lo Spirito Santo dunque si effonde, individualizzato, in ogni singola anima umana che sviluppi la capacità di sentire l'impulso del Cristo. Per quest'anima, allora, si rinnova la parola:
«Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo!»
Coloro che si sforzano seriamente di comprendere l'impulso del Cristo possono anche sentirsi chiamati, per come questo impulso sprona i loro cuori, ad annunciare la parola del Cristo che, in ogni epoca dell'umanità, dovrà sempre suonare nuova e diversa. Lo Spirito Santo non è stato effuso quaggiù per farci attenerci alle poche parole dei Vangeli, quelle pronunciate nei primi decenni del cristianesimo appena nato; piuttosto, è stato effuso affinché il messaggio del Cristo potesse comunicare cose sempre nuove.
Man mano che le anime umane si spostano da un'epoca all'altra, da un'incarnazione all'altra, dovranno essere loro dette cose sempre nuove. Oppure le anime, procedendo da incarnazione a incarnazione, dovrebbero udire, come annuncio del Cristo, sempre le stesse parole, quelle che vennero dette quando si trovavano a incarnarsi in corpi coevi alla temporanea apparizione del Cristo sulla Terra? Nell'impulso del Cristo è insita la forza che pervade e parla agli uomini di ogni tempo, sino alla fine del ciclo terrestre.

Tratto da
O.O. 118 - L'evento della comparsa del Cristo nel mondo eterico
Rudolf Steiner
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