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Essere antroposofi significa operare una trasformazione dell'Anima!


Se vogliamo ritornare a quello cui ho accennato ieri, troviamo le tre fasi dell’esperienza umana in rapporto con il fenomeno della coscienza. Troviamo l’uomo che è nello stato di sonno profondo, o anche di sogno, e che dunque in uno stato di coscienza direi subordinato sperimenta un certo mondo di immagini che, mentre sogna, egli ritiene la sua realtà. Sappiamo che allora è isolato dagli altri, che pure vivono insieme a lui nella vita fisica, nel senso che non hanno con lui esperienze comuni; riguardo a ciò che sperimenta nel sogno, egli non comunica con gli altri. Sappiamo inoltre che si può passare da questo stato di coscienza all’abituale stato di coscienza diurna, al quale si viene svegliati, come ho spiegato ieri, dall’elemento naturale esterno e anche da quello degli altri uomini; sorge così, semplicemente per istinto naturale e per necessità vitale, un certo sentimento di comunità cui si va incontro tramite il linguaggio.

Osserviamo ora la mescolanza di questi due stati di coscienza: fin quando si è in condizioni normali di vita si distingue nel tempo, mediante la propria normale costituzione animica e corporale, l’esperienza isolata di sogno da quella che si condivide con gli altri; sia nello stato di sogno sia in quello della realtà abituale di veglia si vivrà in maniera commisurata a se stessi e agli altri. Ma supponiamo che qualcuno, per un motivo direi patologico (perché così va qualificato in questo caso), non sia in condizione nello stato di veglia, quando dunque è insieme agli altri, di avere rappresentazioni e sentimenti come li hanno gli altri, ma appunto a causa dello stato patologico del suo organismo porti nella coscienza diurna un mondo di rappresentazione e di sentimento simile al mondo immaginativo di sogno. In luogo dell’articolazione logica dei suoi pensieri egli porta un mondo di immagini, simili alle immagini del sogno. Lo chiamiamo malato di mente. Ma adesso ci deve anzitutto interessare il fatto che egli non comprende gli altri e che anche gli altri non comprendono lui, a meno che non lo considerino patologicamente. Nel momento in cui la condizione psichica di questo stato di coscienza, direi subordinata, viene sollevata a una coscienza superiore, in quel momento l’individuo diventa un crasso egoista tra gli uomini. Basta riflettere un poco, per vedere che un essere simile rincorre soltanto quel che si immagina, e litiga con gli altri perché non possono condividere le sue ragioni, egli può giungere fino ai più aspri eccessi perché non vive in un mondo animico comunitario con gli altri.

Passiamo ora da questi due gradi di coscienza agli altri due: a quello di tutti i giorni, al quale veniamo condotti dall’andamento naturale degli eventi esterni, e all’altro, direi di natura superiore, che come ho detto ieri può destarsi in certo modo perché non ci si sveglia solo all’elemento naturale dell’ambiente, ma all’interiorità degli altri. Anche se di solito non appare del tutto chiaro alla coscienza, ci si desta a questo livello di coscienza. Ci sono ovviamente molte altre vie per entrare nei mondi superiori, come è noto anche dal mio libro L’iniziazione, ma in quei momenti felici di corrisposta comunanza con gli altri si può avere la possibilità di aver presenti o di comprendere cose che altrimenti non si comprenderebbero, né si avrebbero presenti. È ora possibile vivere con ciò che il conoscitore del mondo spirituale indica con termini che si riferiscono al mondo spirituale. Si ha la possibilità di parlare di corpo fisico, di corpo eterico, di corpo astrale, di io, di vite terrene ripetute e delle relative concatenazioni karmiche.


Si ha cioè la possibilità di trasferire l’intera costituzione animica della coscienza diurna nel mondo superiore, divenendone partecipi.

È lo stesso, ma su un altro livello, che se si trasferisse la configurazione delle immagini di sogno nella vita diurna. Si diventa egoisti fino a un certo livello in maniera del tutto naturale. Lo si diventa quando non si è consapevoli del fatto che si deve riconoscere quanto fa parte di un mondo superiore, spirituale, soprasensibile, in una maniera del tutto diversa da come lo si fa per quello sensibile. Si deve imparare a trasformare il pensiero e a trasformare il sentimento. Proprio come il sognatore deve farsi afferrare, se così posso esprimermi, da un tutt’altro stato di coscienza, se vuol vivere con gli altri nella coscienza di tutti i giorni, così è necessario che si divenga consapevoli del fatto che non si possono guardare le cose che si ricevono dall’antroposofia nella stessa condizione animica in cui si guardano le cose che ci sono date nella coscienza di tutti i giorni.


Qui sta appunto la difficoltà di intesa tra la coscienza di tutti i giorni, che è pure la nostra comune coscienza scientifica, e ciò che deve esser dato attraverso l’antroposofia. Quando capitano persone che parlano di questo o di quello, uno con coscienza quotidiana, dunque anche con la comune coscienza scientifica, l’altro con la coscienza che è realmente all’altezza dei giudizi che devono aver luogo in un mondo soprasensibile, la situazione è proprio uguale a quando uno che racconta sogni si vuole intendere con un altro che gli racconta cose della realtà esteriore. Quando poi molte persone si riuniscono con la coscienza di tutti i giorni e si elevano senza piena comprensione al mondo soprasensibile per ascoltare in una condizione animica quotidiana il linguaggio del mondo superiore, esiste una grandissima e smisurata possibilità che vengano a litigare, perché sono divenute nella maniera più naturale egoiste, ognuna nei confronti delle altre. Contro questo pericolo vi è ad ogni modo una difesa robusta che occorre prima sviluppare nell’anima umana: è la tolleranza che compenetra l’anima. Ma ad essa ci si deve appunto educare. Nel comune stato di coscienza dell’esperienza di tutti i giorni, ai bisogni della maggior parte degli uomini basta un grado proprio insignificante di tolleranza, anche perché molto viene corretto dall’ambiente naturale. Ma nell’abituale coscienza quotidiana - ben lo sa chi ha esperienza di vita - quando due persone parlano tra di loro molto spesso non importa affatto all una di ascoltare l’altra.


Oggi si è radicato il costume per cui in generale si ascolta appena, e quando è stato pronunciato un quarto della frase, l’interlocutore comincia a discorrere, poiché non gli interessa evidentemente quel che si dice, ma solo la propria opinione. Ciò nel mondo fisico può ancora andare, seppure in maniera deplorevole, ma non va più nel mondo spirituale, nel qua le l’anima deve essere compenetrata dalla tolleranza più incondizionata. Ci si deve educare ad accettare con assoluta calma anche ciò con cui non si concorda minimamente, e non solo con altezzosa sufficienza, ma tollerandolo nell’intimo come legittima espressione dell’altra persona. Nei mondi superiori ha davvero ben poco senso fare obiezioni contro qualcosa; chi è pratico delle esperienze dei mondi spirituali, sa bene che su un fatto si possono esprimere le concezioni più opposte da parte sua o di chiunque. Soltanto se si è in grado di accogliere l’opinione opposta di un altro con la stessa tolleranza (ascoltiamo bene!) che se fosse la propria, si acquisisce lo stato d’animo sociale necessario per sperimentare ciò che in teoria viene annunciato dai mondi spirituali. Questa base morale è necessaria per una giusta relazione verso i mondi spirituali. La litigiosità nelle società che ho caratterizzate esiste appunto perché la gente, quando sente dire che l’uomo non ha solo un corpo fisico, ma anche un corpo eterico, un corpo astrale, un io e così via, lo accoglie come cosa sensazionale, ma non trasforma l’anima come è necessario per sperimentarlo in maniera diversa da come si sperimenta nel mondo fisico una tavola o una seggiola, dove già si sperimentano diversamente che in sogno. Quando dunque la gente porta la propria comune condotta animica nella presunta comprensione della dottrina derivata dal mondo spirituale, a seguito di ciò giunge ovviamente all’egoismo e al litigio.


Diventa perciò comprensibile, se si afferrano appunto le peculiarità dei mondi superiori, il fatto che molto facilmente, proprio nelle società che hanno contenuto spirituale, possono sorgere litigio e contesa, e che in esse è necessario educare a tollerare gli altri a un grado molto più ampio di quanto si sia abituati nel mondo fisico.


Essere antroposofi non significa solo imparare a conoscere l’antroposofia come una teoria, ma richiede in un certo senso di operare una trasformazione dell’anima.

Ma certe persone non lo vogliono. Per questo non vengo capito, quando dico che per esempio ci sono due modi di occuparsi del mio libro Teosofia. Uno è quello di leggerlo e magari anche di studiarlo affrontandolo con l’abituale stato d’animo, e di giudicarlo in questo senso. Allora il processo psichico è qualitativamente il medesimo di quando si legge un libro di ricette di cucina. In tal caso, quanto a valore d’esperienza, non vi è differenza tra leggere Teosofia e un libro di cucina, se non che nel leggere Teosofia si sogna a un grado superiore, ma non si vive. E quando si sogna così di mondi superiori, dagli impulsi di questi non si consegue la massima unità tra gli uomini e la maggiore tolleranza possibile, e invece dell’unione, che potrebbe essere appunto il regalo dello studio dei mondi superiori, giungono sempre più ampi il litigio e la contesa nelle società che si basano su qualche conoscenza di quei mondi.


Ho detto che ai mondi spirituali conducono appunto le diverse strade che ho in parte descritte nel libro L’iniziazione. Se qualcuno deve occuparsi intensamente della ricerca di conoscenze tratte dai mondi superiori, secondo quanto ho detto ieri e oggi per tutt’altro tema, ciò richiede un certo atteggiamento animico. Così sarà necessario in particolare un certo atteggiamento animico per il vero ricercatore spirituale. In particolare non si trova la verità nelle regioni soprasensibili, se si è sempre costretti a imporre all’anima quel che si svolge nel mondo fisico (qui d’altronde del tutto giustificatamente), se durante la ricerca spirituale ci si deve sempre occupare di quanto richiede il mondo fìsico. Comunque si ammetterà che chi comunica in maniera responsabile agli altri qualcosa dai mondi spirituali, chi secondo l’usuale terminologia scientifica può chiamarsi un ricercatore spirituale, ha bisogno di molto tempo per la sua ricerca. Così si troverà giustificato che anch’io abbia bisogno di tempo per indagare quanto via via espongo in forma sempre più ampia quale scienza dello spirito, quale antroposofia.


Naturalmente ognuno trova il tempo secondo il proprio destino, se è del tutto solo. Un reale ricercatore spiri male vuole comunicare responsabilmente agli altri quel che trova nel mondo spirituale, e avrà la caratteristica del tutto naturale di non curarsi degli avversari. Sa di dover avere avversari, ma non gli importa che si obietti qualcosa contro le cose che comunica; le obiezioni sa anche farsele da sé. Così diventa una naturale disposizione d’anima per il ricercatore spirituale seguire positivamente la propria via, senza curarsi gran che delle obiezioni, se non ve ne sia uno speciale motivo.


Ma non si può mantenere tale stato d’animo avendo a lato una Società Antroposofica, perché allora si aggiunge, alla semplice responsabilità di fronte alla verità, la responsabilità per quel che fa la Società che vuol essere strumento, come è stato spesso affermato, di quella verità. Occorre allora farsi partecipi delle responsabilità della Società. Fino a un certo grado ciò è pur sempre in parallelo con una retta condotta di fronte agli avversari. Così fu per me e per la Società Antro- posofìca fino al 1918. Mi occupai quanto meno possibile delle obiezioni che venivano mosse, invero come conseguenza, per paradossale che sembri, della tolleranza di cui ho parlato. Perché mai dovrei essere tanto intollerante da continuare a confutare i miei avversari? Tutto rientrerà nei giusti binari grazie al naturale progresso nell’evoluzione dell’umanità; posso quindi dire che se non del tutto, in grande misura questo problema era risolto fino al 1918.


Quando però si passa ad accogliere cose come quelle accolte dalla nostra Società dopo il 1919, si ha allora una responsabilità rispetto alle singole cose accolte e perciò il loro destino si unisce al destino della Società Antroposofica, e quindi anche il destino di questa si unisce al destino del ricercatore spirituale. Sorge allora l’alternativa: o il ricercatore dello spirito deve prendere in mano la difesa dai suoi avversari, vale a dire deve occuparsi di molte altre cose che lo distoglieranno dalla ricerca spirituale, perché non si possono fare contemporaneamente entrambe le cose, oppure, poiché deve trovare il tempo per la sua ricerca spirituale, non gli resta che affidare gli avversari a coloro che hanno in qualche maniera assunto la responsabilità per le istituzioni fondate. La situazione nella nostra Società è così divenuta essenzialmente un’altra dal 1919, appunto per ragioni antroposofiche interne. Di conseguenza, poiché la Società decise di affidare tali istituzioni a singole sue persone, e poiché la base su cui tutto riposa è sempre l’antroposofia, questa base deve venir difesa da chi non ha la piena responsabilità per ciò che giustifica tamente è stato aggiunto, giorno dopo giorno, alla ricerca spirituale mediante la ricerca reale.


Molti degli avversari vivono in ben determinate situazioni di vita, hanno ad esempio studiato le cose più diverse e sono usi pensare in un determinato modo su certi argomenti, e chi pensa in quel modo deve diventare avversario dell’antroposofia; non sa perché lo debba diventare, ma lo deve poiché è inconsciamente guidato dalla bardatura della sua educazione e delle sue esperienze passate. Così sono i nessi interiori; esteriormente, per la prosperità o la rovina di quanto è stato fondato attorno alla Società Antroposofica, gli avversari devono esser messi in condizione di non nuocere.


Quelli che guidano il campo avversario sanno invece assai bene quel che vogliono, poiché tra di loro alcuni conoscono le leggi della ricerca spirituale, seppure da un punto di vista diverso da quello antroposofico; conoscono il modo migliore per bombardare continuamente di obiezioni e di scritti avversi chi ha bisogno di quiete per la ricerca spirituale, onde distrarlo dalla sua ricerca. Costoro sanno infatti bene che la confutazione dell’avversario non si può conciliare con la ricerca spirituale; vogliono così dare un colpo mancino al ricercatore opponendogli i loro scritti. Alla gente che conosce la realtà non importa gran che il contenuto di tali libri, quanto il fatto che essi vengono gettati addosso al ricercatore spirituale; e specialmente sono soddisfatti se con qualche trucco Io costringono a difendersi.

Rudolf Steiner

O.O. 257 - Formazione di Comunità

 

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