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Il venire a contatto con l'esperienza della Morte - Iniziazione

Ora dobbiamo renderci chiaro che per chi vuol fare, per così dire, il salto nel Mistero, tutto, nella vita dell'anima, deve a poco a poco divenir diverso da prima. Volendo caratterizzare approssimativamente questa trasformazione, si potrebbe dire in poche parole: ciò che per la vita animica consueta appare fine, scopo, anzi scopo a se stesso, per colui che vuol penetrare nel Mistero deve diventare un mezzo per raggiungere fini e scopi superiori.


Nel complesso si deve perciò assolutamente riuscire a tenere distinti i due punti di vista: da un lato, per il piano fisico, la facoltà di giudizio, di un giudizio sano, sicuro, che tiene conto di tutti i doveri della vita; e, dall'altro, la chiara consapevolezza che appunto ciò che così energicamente si tende a sviluppare per il piano fisico, deve costituire invece, per i mondi superiori, un semplice mezzo.


Pensieri, idee, giudizi, tutto questo insieme deve essere, per chi vuol diventare un Iniziato, ciò che sono, ad esempio, i colori per il pittore: per il pittore i colori non sono scopo a se stessi, ma il mezzo per trasfondere nel quadro ciò che egli vuole esprimervi.


Nella vita solita, sul piano fisico, i pensieri e le idee sono scopo a se stessi; per l'Iniziato diventano il mezzo per esprimere quel ch'egli sperimenta nei mondi superiori. A ciò si può arrivare soltanto dopo aver sviluppato un certo atteggiamento dell'anima di fronte ad opinioni, vedute, ecc. Chi ha ancora una predilezione per questa o quella veduta, chi ancora preferisce sia vera una cosa piuttosto che l'altra, non può raggiungere il grado di Iniziazione di cui parliamo. Lo può solo colui che dà alle proprie opinioni lo stesso poco peso occasione a metterle da parte e a guardare senza veli ciò che gli sta davanti. Perciò, fa parte della preparazione per l'ascesa nei mondi superiori l'appropriarsi di una certa intrepidità. E questa intrepidità può essere ottenuta attraverso determinate meditazioni. Possiamo conquistarcela; ma in genere non si persevera abbastanza proprio nelle meditazioni necessarie allo scopo. Una meditazione efficace sarebbe, ad esempio, questa: una cosa non diventa diversa da ciò che è per il solo fatto che noi veniamo a saperla.

In verità, ciò che v'è di spaventoso nei sostrati profondi dell'anima non viene ad esistere per il fatto che noi siamo condotti alla sua presenza e lo contempliamo. C'è sempre, anche quando l'uomo non lo vede. Ma appunto con la sempre rinnovata meditazione di quel pensiero, cioè che le cose non diventano diverse per il fatto di esser conosciute, si scaccia in gran parte la paura da cui dobbiamo liberarci.


In rapporto a ciò che qui vogliamo esporre, io chiamo il « coraggio » e I'« intrepidità » qualità morali, senza le quali certi gradini dell'Iniziazione non si possono raggiungere. Ogni anima che voglia raggiungere un certo grado di Iniziazione, una certa tappa d'una Scuola di Misteri, deve, in primo luogo, apprendere quello che si può chiamare « il venire a contatto con l'esperienza della morte ». La seconda cosa che ogni anima deve apprendere è « il passaggio per il mondo elementare » la terza è quella che nei Misteri egizi, e in altri simili, si chiamava « il contemplare il sole di mezzanotte » e un'altra ancora è ciò che si denominava « l'incontro con gli Dei superiori e inferiori ». Ognuno che arrivi fino a un dato gradino dell'Iniziazione deve passare per queste esperienze. Deve divenire in grado di apprendere per intima esperienza quel che si intende con queste indicazioni, e deve divenir capace di vivere, per così dire, in due mondi: nel mondo fisico, dove appunto vive l'uomo odierno, e nell'altro in cui si può vivere soltanto dopo aver sperimentato che cosa significa « essere venuti in contatto con la morte », « essere passati per il mondo elementare », « aver veduto il sole di mezzanotte » e aver avuto « l'incontro con gli Dei superiori e inferiori ».


Che cosa rimane allora di ciò che l'uomo sente come proprio sé nella vita ordinaria? Nulla. Tutto si abbassa a un'essenzialità di second'ordine. Di tutto ciò che nella vita solita egli sperimenta interiormente, ed anche esteriormente, l'uomo deve dunque spogliarsi. L'intensa consapevolezza di trovarsi fuori da ogni sperimentare fisico si genera in realtà solo nell'Iniziazione. Vale a dire: nell'ascendere ai mondi superiori si arriva a un punto in cui veniamo a trovarci di fronte al nostro corpo fisico in un modo nuovo; mentre, nella vita di veglia, possiamo alzare le mani, muovere i piedi, piegare i ginocchi, aprire e chiudere gli occhi, ecc., ora sentiamo il nostro corpo fisico come se fosse tutto irrigidito, e come se fosse impossibile adoperarne le mani, muoverne le gambe, aprirne gli occhi, ecc.


Inoltre arriva il momento in cui sappiamo, sì, che in questo corpo fisico ci sono degli occhi, ma anche che ora essi non servono a vedere, e così via. Da un lato, tutte le cose diventano trasparenti e, dall'altro, cessa completamente la possibilità di accostarci a quelle cose coi mezzi soliti adoperati sin là. Cercate di afferrare questa grande contraddizione, nel senso ordinario della parola: « Se ci prepariamo a giungere fino a questo punto, le cose divengono tutte trasparenti per noi, vediamo attraverso di esse. Ma nel momento in cui si entra nella condizione di vedere, ad esempio, trasparente l'azzurra volta del cielo, l'occhio non ha più possibilità di percepirla ». Voglio dire che la prima tappa dei Misteri consiste nell'arrivare fino al punto in cui si supera la visione sensoriale e anche il pensiero, nello stesso tempo, tuttavia, ciò che così si sarebbe raggiunto ci è tolto. Si è dunque lavorato per raggiungere un momento in cui qualcosa di totalmente nuovo dev'esserci dato; il momento, in cui questo « nuovo » deve presentarcisi, arriva, ma contemporaneamente il risultato ci è tolto. Ed ora non sappiamo più nulla, tranne questo: « Hai fatto ogni sforzo per metterti alla presenza dei mondi superiori, ed è venuto il momento in cui ti sono tolti ». Immaginatevi a vivi colori quest'esperienza, e avrete il momento che nei Misteri d'ogni tempo viene indicato come il « procedere fino alle porte della morte ».


Infatti, nella vita normale, quando l'uomo si addormenta, quando, cioè, tutte le impressioni gli sono tolte, egli cade nell'incoscienza; vuol dire dunque ch'egli vive nelle sue impressioni. Ma ora egli supera le impressioni della vita quotidiana; sa di essere avanzato tanto da poter vedere attraverso tutti gli oggetti, ma gli è tolto allo stesso istante il mondo nuovo che dovrebbe mostrarglisi. Dobbiamo arrivare là dove dal mondo esterno ci vien meno ogni forza; e dove, nel nostro intimo, dobbiamo essere arrivati, allenandoci alla fiducia in noi stessi, alla nostra sicurezza, alla presenza di spirito, e ad altre interiori virtù (intendendo virtù nel senso di forze, di energie), dopo esser riusciti a possedere tanta forza interiore, tanta energia, da averne a disposizione un sovrappiù proprio nel momento in cui il mondo ci è tolto. E questo ci conduce a quell'esperienza che è per noi di un'importanza estrema. Rappresentatevi bene la cosa: si arriva per mezzo del lavoro interiore al confine in cui il mondo diviene trasparente, e nel contempo ci è tolto. Non si è salvato nulla; non si può aver salvato nulla, all'infuori di una certa forza interiore acquistata per il fatto d'esserci educati alla fiducia in noi, alla presenza di spirito, all'intrepidità ed altre simili qualità interiori. E si giunge all'importante esperienza che ci s'impone in modo immediato: « Sei solo nel mondo! Sei proprio tutto solo nel mondo! », e questa esperienza si accresce, si accresce sempre più; non saprei esprimerla altrimenti che con le parole: « Tu solo sei il mondo intero! ». Questo sentimento diventa sempre più forte, sempre più grande. E il fatto singolare è che da questa esperienza può sorgere nell'anima tutto un mondo nuovo, per l'Iniziato deve sorgere. Si sente: siamo giunti a un limite dove Si è di fronte al nulla, ma abbiamo portato con noi una forza.


Cessa anzitutto il senso della materialità fisica. Ogni stato di materialità quasi scompare nell'indeterminato nulla; non esiste più. Così pure cessa, sparisce, il senso di « urtare contro qualcosa di duro », o anche contro qualcosa di molle, come l'acqua o l'aria; cessa insomma il senso d'« esser circondati da materia ». Non si ha più a che fare se non con le qualità delle cose, non più con le cose stesse. L'altra cosa che viene pure a mancare è ogni connessione con ciò che nella vita ordinaria chiamiamo percezione sensoriale. Ciò risulta già da quanto abbiamo esposto finora. Nulla più fa impressione su di noi: noi stessi siamo tutto. Si ha appena l'impressione del « tempo »: « Ora ancora non sei questo o quello, e dopo qualche tempo lo sei ». Ma non esiste più la condizione di avere degli oggetti fuori di noi, in un altro luogo, che facciano su di noi qualche impressione. O siamo noi stessi una data cosa, o essa non esiste affatto. Diventiamo noi stessi ogni cosa che ci si presenta; in essa affondiamo, con essa ci unifichiamo, e alla tine si diventa grandi come il mondo che ci è di fronte, si diventa uno con esso.


A questo punto si è sì superato il « contatto con la morte», ma ci si trova in un'unità indifferenziata con tutto il mondo che ci è di fronte. Ora, si danno due possibilità: o la preparazione è stata buona, oppure no. Se è stata buona, l’iniziando, dopo essersi fino a un certo grado « diffuso » sul mondo, deve aver conservato un residuo di forze. Se questo è il caso (vedete che oggi vi descrivo da un punto di vista alquanto diverso le cose di cui vi ho spesso parlato, ma oggi proprio quest'altro punto di vista ci occorre), se certe energie ch'egli prima ha sviluppato a sufficienza, le possiede ancora, egli vive l'esperienza seguente: mentre, nel mondo ordinario, l'uomo sta di fronte a un oggetto e lo guarda, e l'oggetto lascia un'impressione sui suoi occhi, così ch'egli viene a sapere qualcosa su di esso, ciò non accade più a partire dalla tappa dell'Iniziazione di cui abbiamo finora parlato; qui non si ha a che fare con una ripetizione del mondo solito, per cui si presenterebbero, come accade comunemente per gli oggetti del mondo fisico, oggetti prima non visti, no.

Ora, a partire da questo punto, si devono avere a disposizione forze da poter riversare fuori di noi. Dunque, dopo aver impiegato forze sufficienti per unificarci col mondo, dobbiamo trattenerne un sovrappiù, per emetterlo fuori di noi, come il ragno emette il filo con cui tesse la sua tela.


Nel mondo fisico le cose ci si pongono davanti senza sforzo da parte nostra. Nei mondi spirituali, invece, nessuna cosa ci si pone davanti, se prima non le mettiamo a disposizione la nostra propria sostanza animica. Perciò è così difficile su questo punto distinguere il soggettivo dall’oggettivo. Perché completamente soggettivo dev’essere ciò che emettiamo dalla nostra sostanza animica; ma completamente oggettivo dev'essere quello che usa la sola sostanza emessa, per arrivare a farsi percepire.


Fin da principio l'iniziando doveva rinunciare a che gli venissero presentati gratuitamente, sopra un vassoio, gli Esseri del mondo spirituale. Per ogni passo nel mondo spirituale egli doveva prima svilupparsi e compiere uno sforzo per arrivarci. Nulla si raggiungeva senza sforzo; nulla senza sforzo! Questo vale tanto per ciò che nei mondi spirituali va conquistato individualmente quanto per ciò che, riguardo ad essi, va conquistato nelle successive tappe dell'evoluzione umana.


Supponiamo che nel corso dell'evoluzione umana debba venir inserita un'Entità che deve operare mediante la sua potenza spirituale. Ad esempio, l'individualità di Mosè. Sarebbe puerile immaginare che l'umanità non debba fare nient'altro se non che proseguire semplicemente nel suo cammino, a un certo punto del quale il Cielo manderebbe giù Mosè; sicché agli uomini non resterebbe da far altro che quello che appunto hanno fatto quando Mosè è comparso nel mondo. Se Mosè fosse stato mandato così in un qualsiasi posto, ciò avrebbe avuto la conseguenza che nessuno di coloro che lo avrebbero circondato avrebbe saputo ch'egli era Mosè. Non importa che la tale o tal altra personalità esteriore sia presente, ma che un certo numero di uomini possa giudicare della spiritualità vivente nell'uomo in questione. E non sarebbe nemmeno necessario dire a tali persone: « Questo è Mosè », oppure un altro; basterebbe preparare le loro anime nel modo adeguato, e le anime saprebbero senz’altro: « Questa è la tale personalità spirituale, che va vista così e così».


Ecco dunque ciò che dobbiamo premettere: che l'ascesa nei mondi superiori è congiunta con un rafforzamento, un'energizzazione delle forze interiori dell'anima; che nulla può, per così dire, venir dato solo da fuori, ma che tutto può esser raggiunto soltanto da un'elevazione dell'umana vita interiore; perché solo con ciò può varcarsi la soglia di quei mondi che anche l'uomo percorre tra la morte e una nuova nascita.


Rudolf Steiner Parsifal e Amfortas - I Misteri dell'Oriente e del Cristianesimo

Berlino, 3 Febbraio 1913


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PARTECIPA AL PERCORSO IN 7 INCONTRI ONLINE

Interamente dedicato alle vicende del Parsifal.

Condotto da Giorgio Tarditi Spagnoli



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INTRODUZIONE AL PERCORSO


La prima volta che Parsifal giunge al Castello del Graal, assiste alla processione della Lancia del Destino e del Santo Calice, vede così anche Amfortas, il Re del Graal che soffriva di una incurabile ferita. La processione lo colpisce profondamente. Infatti, innanzi a quella sublime visione, è tuttavia turbato alla vista del Re che patisce di dolori indicibili. Ma nonostante il dubbio tormenti la sua anima, rispetterà ciò che gli era stato detto: non porre domande!


È allora che, come allo svanire di un sogno, la sublime visione viene meno: ed allora dovrà compiere nuove imprese, vivere nuove esperienze, per giungere infine di nuovo al Castello del Graal, stavolta armato di una rinnovata coscienza.


Sarà allora che potrà “la domanda”. Parsifal è colui che per la prima volta nella storia dell’evoluzione interiore umana, si pone nella condizione interiore di porre una domanda totalmente disinteressata al prossimo, formulandola in piena coscienza.


Ecco che innanzi ai tormenti del re ferito Amfortas: “Che cosa ti affligge?”

È con amorevole interesse per il prossimo che Parsifal guarisce il re ferito e diviene il suo successore, il nuovo Re del Graal.

È così che diventa un vero Cristoforo e riceve in anticipo rispetto a tutta l’umanità un’immagine-copia dell’Io del Cristo Gesù.


Con questo eroico atto interiore Parsifal apre dunque la via per l’attuale epoca dell’anima cosciente, cominciata nel 1413 e che finirà solo nel 3573.


Siamo nel IX secolo, e nel Concilio di Costantinopoli del 869 si è decretato di abolire lo spirito nell’uomo che da quel momento in poi l’uomo sarà solo corpo ed anima, un irriducibile dualismo che condizionerà tutta la storia del pensiero occidentale, con le tragiche conseguenze della storia moderna, fino al disorientamento dell’epoca attuale. Così viene dimenticato lo spirito dalla chiesa esteriore, la Chiesa di Pietro, ma una chiesa interiore, la Chiesa di Giovanni, continua la sua ricerca dello spirito che può essere finalmente accolto in coscienza nell’anima umana.


Approfondiremo così la figura di Parsifal, uno degli attuali 7 Maestri di Saggezza e Armonia dei Sentimenti manifesti nella evoluzione umana attuale.


Nell’antico Egitto incarnò come il fanciullo di Sais, colui che sollevò il Velo di Iside prima di qualunque altro mortale, rimanendone folgorato. Si incarnò poi nel “Figlio della Vedova di Nain” resuscitato dal Cristo.


Si reincarnò nel III secolo dopo il Cristo come Mani, che mise per iscritto gli insegnamenti di Sciziano. Quando disincarnato nel IV Secolo, riunì intorno a sé tre Maestri di Saggezza: Buddha, Zarathustra e Sciziano al fine di permettere che tutta la saggezza precristiana potesse fluire in nuova forma attraverso il Cristo per mezzo della redenzione del male.


Avendo ricevuto una immagine-copia dell’Io del Cristo Gesù, Mani-Parsifal lo conferisce nel 1459 a Christian Rosenkreutz nelle Nozze Chimiche investendolo così del titolo mistico di “Cavaliere della Pietra d’Oro”, a significare la conquista del Corpo di Resurrezione.


Nel futuro Mani sarà scelto dal Cristo come Maestro della Scuola Esoterica della 6° Epoca Post-Atlantica appoggiando l’opera di formazione di comunità del Maitreya Buddha, infondendo l’Amore attivamente operante nella società umana nell’Epoca dell’Aquario, formando le Comunità del Graal.


In una futura incarnazione Mani-Parsifal sarà il Manu Savarni, cioè la guida dell’intera Era dei 7 Sigilli dell’Apocalisse. Essendo stato Noè un Manu divino, adombrato direttamente dall’Altissimo, il ruolo di Mani sarà quello del primo Manu di una intera Era che sia pienamente umano, che ha tratto da se stesso tutte le forze spirituali per ascendere alla sfera della preveggenza dei Maestri di Saggezza.

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